Duccio Demetrio - I sensi del silenzio. Quando la scrittura si fa dimora
Edizioni Mimesis
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Se il linguaggio è la
condizione del pensiero e se i differenti modi e sensi di esso si
affidano alla scrittura che li porta con sé lontano dalla sua origine,
dall’identità necessaria dalla quale sembra essere stata determinata, si
rischia l’infinito. Così, già lontani dal luogo d’origine e alla
ricerca dell’età della pratica del pensiero, Duccio Demetrio, nel
tentativo di ricordare i segni dell’alleanza tra il silenzio e la
scrittura, si pone alla ricerca di un sapere che, consapevole della
lontananza progressiva che un discorso scritto genera rispetto alla sua
origine, favorisce la progressiva e infinita molteplicità delle
interpretazioni.
I sensi del silenzio è un testo che, presentandosi come un taccuino d’appunti e riflessioni, ma dando vita ad approfondite analisi sul valore del silenzio, si propone come segno del legame tra silenzio e scrittura da un lato e dall’altro come incitamento a riscoprire il piacere di scrivere, dal momento che la scrittura è abitata dal di dentro dal silenzio.
I sensi del silenzio è un testo che, presentandosi come un taccuino d’appunti e riflessioni, ma dando vita ad approfondite analisi sul valore del silenzio, si propone come segno del legame tra silenzio e scrittura da un lato e dall’altro come incitamento a riscoprire il piacere di scrivere, dal momento che la scrittura è abitata dal di dentro dal silenzio.
Il testo è diviso in
sette parti che mettono assieme le tracce di un percorso all’interno di
quell’abisso che è il silenzio. Alla ricerca di un discorso che mostra
tutte le difficoltà di un tentativo di stabilità del pensare, mascherato
da silenzio, l’autore mette in mostra lo sviluppo progressivo che il
legame tra scrittura e silenzio acquista più si fanno profonde le
affinità tra queste due dimensioni, nello spazio di una difficoltà tanto
personale quanto teoretica.
Il silenzio “è un eterno
rinascere” (p. 7): così si apre il primo capitolo del testo e così ci
si trova di fronte a un fenomeno al quale non è possibile sfuggire in
nessun modo, tanto è presente in ogni parola/scrittura, o, all’opposto,
tanto è sotterraneo da riuscire a manifestarsi senza che si riesca a
provare nessun sentimento rispetto alla sua assenza. Sì, è un fenomeno a
metà tra l’assenza e la presenza, che, portando con sé molteplici
significati contradditori, è sempre alla ricerca di un linguaggio per
essere comunicato. Solo se ci imbattiamo in esso e nelle condizioni di
cui dispone, ne scopriamo gli aspetti; più siamo prossimi a esso e più
sembra risvegliarsi il pensiero e la scrittura, che si mostra non
soltanto come la maschera di questo fenomeno, ma come la manifestazione e
la pratica del pensiero in generale e “affina la nostra sensibilità ad
esso” (p. 10). Per percepirlo dovremmo soffermarci sui “vuoti” del
reale, sugli intervalli che la vita ci offre: ecco perché la scrittura.
La scrittura racchiude in sé le modalità di approccio al silenzio,
riuscendo a coglierci di sorpresa, ancora una volta, rispetto alla
profondità di tempi e luoghi in cui il silenzio sempre è e permane. Esso
non cambia infatti stadio di manifestazione,ma getta scompiglio nel
ritmo di gestione del linguaggio con le “pause”.
Esso è muto, “il
riflesso privo di volto della nostra inquietudine” (p. 14), il momento
di temporeggiamento prima di scrivere, di cui il foglio è “preludio di
qualcosa che è di là da venire” (p. 14). Il nostro primo istinto è
quello di tentare di addomesticare l’atto di scrittura, per esorcizzare
questo stato di sospensione perturbante, evento che avverrà nel silenzio
e che tenderà a cancellare ogni traccia di esso. Si tratta di un gioco
di prestigio, in quanto sembra fare apparire dal niente qualcosa:
l’imprevedibile. Evento che troverà il suo completo equilibrio nella
lettura, quindi nell’altro che suggellerà questo rito sacrificale della
scrittura nei confronti del silenzio.
Ecco perché tra chi
legge, chi scrive e lo spazio/tempo dal quale proviene quest’ultimo c’è
qualcosa in comune: appunto il silenzio che lega queste tra dimensioni.
Infatti nel terzo capitoletto si tenta una genealogia della scrittura a
partire dal silenzio che quindi si insinua in quanto fenomeno originario
che ci fa scrivere e ci scrive, creando quelle condizioni ideali che
trasformano l’attimo prima della meraviglia attesa in ogni atto di
scrittura. La parola (scritta e/o orale) sospende il silenzio, lo
ferisce ma al contempo ne è figlia (cfr. p. 20); il silenzio, invece,
“esiste indipendentemente da ogni forma di linguaggio” (p. 21), restando
costantemente nella dimensione sospesa di morte apparente. Se prima di
ogni logos c’è sigan, cioè “quello stato mentale e fisico cui i greci
attribuivano significati di ordine divino o sacrale” (p. 22), allora il
silenzio annuncia sia una nascita che una fine, contemporaneamente, e la
scrittura ne è la dimora in divenire. Ne è la dimora nel doppio senso
di casa natale e di ultima casa, la tomba: in essa il silenzio viene
alla vita, ma anche muore. Ecco la profonda alleanza che condividono il
silenzio e la scrittura, tra nascita a morte, in un destino di
ricominciamento.
Questo rito che stringe a
doppio legame il silenzio con la scrittura è un momento personale,
solitario sia nel caso del silenzio come soggetto dello scrivere che
quindi in questo caso sembra venir messo tra parentesi, sia nel caso del
silenzio come tema del discorso, quindi come centro attorno al quale
ruota l’intero logos: in entrambi i casi il silenzio è parte integrante
del senso della scrittura. L’atto linguistico che più si configura come
la dimora, la casa e non la tomba adesso, del silenzio è la poesia. In
essa, il valore e il senso del silenzio vengono amplificati poiché
rimessi alla facoltà immaginativa del poeta che, creando, nel
linguaggio, ma a partire da esperienze vissute, l’infinità poetica, vive
immerso nei “sovrumani silenzi” (come nell’Infinito di Leopardi)
dell’interiorità poetica in vista dell’espressione dell’infinito.
Continuando fino alla
fine questo percorso con il taccuino nelle tasche e aperti al frastuono
che producono in noi le differenti percezioni sensoriali rievocate
dall’autore attraverso fenomeni naturali, se in questo percorso di sensi
molteplici e differenti dovesse restarcene uno solo di questi, questo
sarebbe proprio il silenzio. Esso li fonda tutti e ne permette la
generazione non in quanto strato inferiore rispetto al senso che
produrrebbe espressioni significanti, ma in quanto abita la parola
scritta come sua massima possibilità che, anche se non esiste un nucleo
irriducibile e puro dell’espressione, mostra le molteplici differenze
del lavoro del pensiero.
Nel tentativo di
condurre a una riconsiderazione del piacere di scrivere, nella
convinzione che la scrittura sia abitata dal silenzio al suo interno in
quanto sua dimora, Duccio Demetrio interroga i molteplici sensi che tale
impostazione di discorso riesce a disporre, scandagliando dei domini,
quindi facendo affiorare delle distinzioni, che regolano e ritmano
gerarchie espressive e quindi di interpretazione. Siamo in presenza di
un’ardua impresa, quella di fondare la scrittura direttamente sul
silenzio, facendone confluire tutti i suoi possibili sensi nell’atto
dello scrivere. Siamo di fronte ad una sorta di “silenzio che mantiene
la scrittura”. In questo senso possiamo dire che la scrittura è
sostenuta dal silenzio che se ne prende cura ed ininterrottamente lo
nutre; che il silenzio supporta e quindi in un certo senso accorda un
certo rispetto nei confronti della scrittura; oppure anche che il
silenzio sopporta e quindi resiste alla scrittura o in essa. Si tratta
quindi di un testo tanto teorico quanto pratico per educare al silenzio
in tutte le sue possibilità, un silenzio che mantiene la scrittura
nell’incessante pratica del pensiero.
Recensione di Pietro Camarda